Questo fine settimana è indispensabile andare al Cinema.
Il Cinema Teatro 4 Mori infatti vi trasporterà lontano, fuori dai radar della comfort zone europea, per farvi scoprire un altro interessante titolo coreano: Le Buone Stelle – Broker (브로커, Beurokeo). Lo troverete oggi alle 16.30 e alle 21.30, domani alle 18.30 e Domenica alle 16 e alle 21.30.
Presentato in anteprima al Festival di Cannes di quest’anno, si aggiudica il premio per miglior attore a un volto ormai famoso del cinema coreano, grazie al pluripremiato Parasite (Bong Joon-ho, 2019): Song Kang-ho.

Ricordate la vecchia ruota degli esposti? Una di queste è ancora visitabile presso l’Ospedale degl’Innocenti a Firenze. Beh è una sorta di apertura nel muro in cui è possibile collocare i bambini che non vengono riconosciuti dalle madri. Una sorta di abbandono anonimo di neonati che vengono affidati alle cure di una Chiesa, di un Ospedale o di un Orfanotrofio.
Inizia proprio così la nostra storia, con il pentimento di una ragazza che torna a cercare il suo bambino abbandonato la notte prima in un baby box e non lo trova.
Un autoproclamatosi “broker di buone azioni” (Song Kang-ho) insieme a un collega interpretato da Gang Dong-won, hanno sottratto il bambino per rivenderlo a un’altra famiglia in attesa di adozione.
Inizia così questo road movie, con una giovane prostituta inizialmente pentita per l’abbandono del figlio frutto del rapporto con un cliente, un broker proprietario di una lavanderia a secco che non vede mai la figlia dopo il divorzio, un orfano ormai adulto cresciuto con la consapevolezza di avere una madre che non lo voleva.
Un viaggio quindi alla ricerca di due genitori ideali, che possano acquistare il bambino e dargli una vita migliore. Tuttavia il gruppo finisce per diventare un po’ per caso una vera e propria famiglia, seppur ignari che due agenti sono sulle loro tracce per indagare su un misterioso omicidio.
“Al mondo c’è chi li butta via e chi li vende. Ma il venderli viene dopo”


Sicuramente è un film che parla della famiglia, di quanto sia importante essere almeno in due per poter crescere e allevare un figlio. Non è importante comunque che sia una famiglia tradizionale, l’importante è avere tutti un obiettivo comune.
Il regista giapponese Hirokazu Kore’eda, torna quindi sulle stesse domande dei ruoli di Un affare di famiglia (Manbiki kazoku) (2018). Si chiede cosa intercorre nel rapporto tra una madre e un figlio, tra un padre e una figlia o cosa significa non aver proprio avuto i genitori.
I personaggi inizialmente sembrano affrontare scelte superficiali e snaturate ma Kore’eda ci tiene a far capire che ognuno agisce secondo le esperienze fallimentari che ha avuto e per questo in qualche modo gli aiuta a redimersi, grazie al conforto e all’appoggio l’uno dell’altro.
Una cosa che amo del cinema orientale e che al tempo stesso mi fa tribolare nello scriverne è il tipo di cultura, difficile da descrivere perchè sconosciuta ma comunque terribilmente affascinante. Vedere un film con gli usi, i costumi e i paesaggi di un luogo straniero e lontano è una sorta di scuola di formazione: crea un’apertura tale da impegnarti a leggerne e scoprirne sempre di più.
Non sottovalutate questo film che apparentemente può sembrare troppo lungo e ridondante, vi assicuro che alla fine vi lascerà come in sospeso, fluttuanti come su una ruota panoramica.

La regia è leggera e si muove lentamente come il mare presente in tutti i paesaggi sud coreani, o come quella pioggia leggera che So-young (interpretata dalla cantante Lee Ji-Eun, ideatrice delle musiche del film) sogna che possa lavare via tutto quello che è stata fino a ieri.
Così come i personaggi concludono ringraziandosi a vicenda per essere venuti al mondo, io ringrazio voi cari lettori per essere venuti al mondo e per avere quindi la possibilità e il privilegio di poter ancora andare al cinema.
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