Riceviamo e pubblichiamo la nota di BL
Martedì prossimo Elly Schlein chiuderà il suo tour estivo sul salario minimo qui a Livorno. Il PD Toscano invita tutte le forze sociali e democratiche che si riconoscono nell’obiettivo di risolvere il problema del salario povero in Italia a partecipare.
La nostra organizzazione politica ha ricevuto l’invito da parte del segretario territoriale Alessandro Franchi ma, da quanto leggiamo su Il Tirreno, non sono previsti interventi di altri schieramenti nel dibattito, per cui esprimiamo qui, pubblicamente, la nostra posizione.
La questione del lavoro povero ci occupa da diversi anni e abbiamo organizzato confronti e dibattiti sul tema. Nel 2017 invitammo la ricercatrice Marta Fana a presentare il suo libro “Non è lavoro, è sfruttamento” dando vita ad un dibattito cittadino su un tema, allora, poco affrontato dalle forze politiche: anche a sinistra era quasi un tabù.
Quando Nunzia Catalfo, senatrice del Movimento 5 Stelle, presentò la prima proposta di legge sul salario minimo ebbe contro non solo la destra ma anche il PD che propose una commissione guidata dal Presidente del CNEL e formata dalle parti sociali, sindacali e datoriali – un po’ come sta facendo adesso il Governo Meloni – che individuasse caso per caso un salario minimo appropriato.
I sindacati confederali ritenevano inutile stabilire per legge un limite minimo al salario perché, per loro, lo Stato non deve “interferire” nei processi di contrattazione collettiva; e questo pur avendo negli anni sottoscritto moltissimi CCNL (Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro) con salari minimi ben al di sotto dei limiti di povertà e determinando una progressiva perdita del potere di acquisto da parte di lavoratori e lavoratrici.
L’attuale ripensamento del PD e della CGIL ci sembra rilevante, sempre che non si limiti solo a essere una scelta “furba” per fare opposizione a un Governo di ultradestra che, come è nelle sue corde, difende e difenderà sempre le posizioni dei datori a discapito di quella dei lavoratori.
Vogliamo credere che la segretaria nazionale Schlein sia sincera in ciò che dice: perciò ecco alcuni elementi a sostegno della lettura politica della proposta di legge.
Innanzitutto non si può credere di estirpare il lavoro povero con il solo uso dello strumento giuridico del salario minimo legale: è un passo fondamentale, sì, ma deve integrarsi con un profondo ripensamento del sistema creato – anche dal PD – su appalti, esternalizzazioni, lavoro gratis (stage, tirocini, etc.) e mancato rinnovo della contrattazione collettiva.
Non è concepibile mantenere ancora milioni di cittadini e cittadine in una condizione salariale che non consente loro di vivere con dignità.
La proposta di legge non prevede alcuna indicizzazione rispetto all’aumento del costo della vita, anche se questa dovrebbe essere la garanzia che la retribuzione sia e resti almeno sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Costituzione Italiana) anche in caso di inflazione.
Lo stesso meccanismo dovrebbe essere introdotto per tutti i salari, non solo per quello minimo: tutelare le capacità economiche di lavoratori e lavoratrici significa sostenere l’economia e garantire salari appropriati nonché, finalmente!, eliminare dal mercato ogni impresa che vada avanti solo grazie a feroci politiche di taglio del costo del lavoro e non alla propria capacità produttiva.
Per noi, inoltre, non è condivisibile la scelta di sostenere con contributi pubblici le imprese che non riusciranno ad adeguarsi ai nuovi minimi salariali: la fiscalità generale (e quindi nuovamente lavoratori e pensionati, in maggioranza) andrebbe a coprire le incapacità imprenditoriali di chi, molto probabilmente, è andato avanti con lo sfruttamento strutturale del lavoro povero, e perciò non è funzionale al mantenimento di un tessuto produttivo sano, oppure è fornitore di committenti che accumulano profitti ed extraprofitti alla base dell’inflazione che sta mettendo in ginocchio anche la classe media.
Infine, crediamo che 9 euro lordi siano assolutamente insufficienti per svolgere il ruolo costituzionalmente previsto per il salario. I parametri convenzionali fissano la soglia di povertà sotto il 60% del salario medio lordo (o sotto il 50% del salario medio lordo del Paese di riferimento).
In Italia negli ultimi due anni l’inflazione ha eroso almeno il 15% di salari già in caduta libera da oltre trent’anni: la soglia di povertà, perciò, è calcolata su una situazione reale già allo stremo e che rischia di spingere ulteriormente verso il basso il livello salariale complessivo.
Non possiamo dimenticare che:
○ nel nostro Paese il 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto in media da quasi tre anni;
○ molti lavoratori vedono applicati contratti pirata;
○ alcuni CCNL firmati dai sindacati confederali non garantiscono i livelli di salario minimi (vedi, ad esempio, il CCNL degli istituti di vigilanza, non considerato in linea con i dettami costituzionali dai giudici);
○ ci sono sempre più part time forzati o fasulli;
○ cresce il lavoro al nero.
Bisogna partire da un altro tipo di calcolo e vedere quanto può servire a una famiglia-tipo per campare dignitosamente: e c’è chi il conto l’ha fatto. La sezione italiana della rete internazionale Clean Clothes Campaign, che riunisce organizzazioni a difesa di lavoratori e lavoratrici nel settore tessile, ha verificato che, in Italia, per una famiglia di 3 persone occorrono almeno 1.905 euro netti mensili per 40 ore di lavoro, ovvero 11 euro netti per ogni ora di lavoro.
Ciò che vogliamo, come diceva l’operaia tessile Rose Schneiderman nel 1912, “è il diritto di vivere, non semplicemente di esistere”.
Buongiorno Livorno