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4 Agosto 2005 il grave infortunio che stravolge la vita di Stefano di Bartolomeo

Simona Poggianti di Simona Poggianti
4 Agosto, 2025
Stefano di Bartolomeo

Stefano di Bartolomeo

La lettera di Stefano 20 anni dopo il grave infortunio

“Sono trascorsi 20 anni da quella maledetta giornata di lavoro, doveva essere una giornata come tante altre, invece Giovedì 4 Agosto 2005 ha cambiato e stravolto la mia vita e quella della mia famiglia.

Mentre ero impegnato nella battitura dello stoccafisso, con un macchinario senza nessun sistema di sicurezza, nessuna protezione, ad un tratto mi ritrovai con il braccio destro completamente risucchiato fino al mento, incastrato nei rulli.

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Mi trovavo nel laboratorio nei sotterranei del mercato centrale, con la porta socchiusa, impossibilitato a muovermi e a fermare la pressa, provai a chiedere aiuto con tutto il fiato che avevo, ma niente, provai ancora e ancora, ecco che sentii una voce: era quella del mio collega Jonny, sceso per andare a prendere della merce, si  trovò davanti una scena difficile da dimenticare e urlando mi chiese: “Stefano! Sei vivo? Cos’è successo?! “

La mia risposta fù: “Jonny, ferma la macchina e vai chiama qualcuno, corri e chiedi aiuto”, lui per fare prima staccò la corrente dall’interruttore generale fermando così i rulli.

Dopo qualche minuto la cella frigo si riempi di persone: c’erano alcuni tra i ragazzi dei banchi e altri esercenti, e i vigili urbani del mercato. 

Da lì a poco arrivò la Misericordia e la dottoressa fece allontanare tutti, arrivarono anche i Vigili del Fuoco, da me soprannominati in seguito i miei  “ANGELI Del Fuoco”, ricordo ancora lo sguardo preoccupato della dottoressa rivolto al capo squadra dei Vigili del Fuoco, perché il tempo trascorreva e non riuscivano a liberarmi.

Un intervento reso difficile a causa dell’ ambiente stretto, con poca luce, trascorsero 90 minuti prima di riuscire a liberare il braccio dai rulli, così da trasportarmi con la massima urgenza al pronto soccorso. 

Arrivati al P.S ci fu una prima valutazione del danno alla spalla e al braccio destro, che avevano subito uno schiacciamento, con diverse fratture. 

Dopo le prime cure i medici, parlando con mia moglie Mascia, che nel frattempo era giunta al P.S venendo via dal lavoro, le dissero queste parole: “la situazione di suo marito e molto grave, dobbiamo capire bene l’entità del danno e se sarà possibile salvare il braccio”, a quel punto lei gli chiese con un filo di voce: “Ma è in pericolo di vita?”, “Al momento non lo sappiamo” fu la loro risposta.

Una semplice giornata di lavoro, si stava trasformando nello sconforto più totale, la paura e il dolore si stava impossessando di noi, è una sensazione che a distanza di tanti anni ricordo ancora, i medici decisero di attendere qualche giorno prima dell’operazione, avendo coinvolto un chirurgo plastico per un consulto che sarebbe dovuto venire da Pisa per partecipare all’intervento.

L’operazione durò molte ore, i medici riuscirono a salvare il braccio, anche se non erano certi del  recupero totale del braccio visto le diverse fratture alle ossa della spalla, i danni neurologici e al sistema linfatico della spalla e del braccio destro.

La situazione clinica dopo qualche giorno dall’intervento subì un peggioramento, obbligando i medici a spostarmi in diversi reparti per cure più approfondite (Ortopedia -Medicina d’urgenza e malattie infettive a causa di una grossa infezione che stava interessando la spalla e il braccio, per difficoltà respiratoria causata da alcune schegge ossee, che avevano perforato la pleura) e la febbre alta.

Dopo  40/ 45 giorni di ospedale, il quadro clinico andò migliorando, permettendomi così il rientro a casa, consapevole però che avrei dovuto affrontare un lunghissimo periodo di riabilitazione, che iniziai quasi subito, prima all’ospedale di Livorno in seguito presso il Centro Riabilitativo INAIL di Volterra, da dicembre del 2006 a marzo del 2007, e poi anche nei centri di Cisanello e Santa Chiara a Pisa, oltre a visite specialistiche, negli anni a seguire presso l’Ospedale Rizzoli di Bologna e uno specialista a Milano.

Trascorsi quasi 2 anni, visto che la situazione di recupero della funzione del braccio si era stabilizzata, con un recupero parziale del 40%  l’INAIL decise di chiudere la temporanea ( il periodo di apertura dell’infortunio) dicendomi che in seguito sarei stato chiamato a visita collegiale per la valutazione postumi dell’infortunio, nel frattempo sarei dovuto rientrare a lavoro. Immaginate voi il mio stupore, come potevo riprendere un lavoro che richiede l’uso di tutte e due le braccia per lo scarico della merce, per servire i clienti e per il lavoro al banco? Questo dipendeva dalla valutazione della commissione medica della medicina del lavoro della USL, alla quale fui sottoposto su richiesta del mio datore di lavoro.

Dopo avermi visitato e chiesto che tipo di mansione svolgevo sul lavoro, la relazione finale della Commissione fu l’idoneità ad un lavoro che richiedeva un utilizzo del braccio destro ridotto, senza sforzi o movimenti ripetitivi.

Visto la mia non idoneità alla mansione svolta prima, e l’impossibilità di destinarmi ad altri incarichi, il mio datore di lavoro mi licenzio per giusta causa.

A quel punto mi crollò il mondo addosso, iniziò  un lungo  periodo di depressione con attacchi di panico, fui costretto a ricorrere alle cure di uno specialista, oltre a cercare di mantenere stabile  con terapie riabilitative il braccio,  dovevo superare anche questa. Trovai la forza nella mia famiglia, in particolare in  mia moglie Mascia, (devo a lei il mio essere qui oggi)  non solo perché è stata sempre al mio fianco, sia durante il ricovero in ospedale, mi accompagnava alle terapie, che soprattutto durante il mio ricovero a Volterra, mi confortava nei momenti più difficile e mi spronava a reagire in ogni mio minimo cenno di cedimento, tenendo nascosti per sé paure e preoccupazioni.

Inoltre dovemmo  affrontare il lunghissimo percorso processuale sia per la causa penale (tre gradi di giudizio) che il processo civile, ci sono voluti quasi sette anni per arrivare alla conclusione di tutto ottenendo così giustizia. Spesso le udienze venivano rimandate con le motivazioni più assurde, e credetemi, ogni volta era dolore ricordare momenti drammatici per tutta la mia famiglia, come riaprire una ferita mai rimarginata, con mia moglie sempre al mio fianco.

Nel 2007 è nato il nostro secondo figlio Nicolò, Sandy (nostra figlia) ne aveva 15 quando ho subito l’infortunio, non lavorando ho potuto dedicare a Nicolò più tempo, sentendomi così utile e parte più attiva alla vita familiare, mentre continuavo a fare i cicli di terapia  soprattutto linfatica, cercavo di partecipare a corsi di formazione per un eventuale nuovo futuro lavoro. 

Nello stesso anno conobbi l’ Associazione Nazionale fra lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro (ANMIL)  con la quale iniziai subito una collaborazione, con vari progetti, tirocini e iniziative, così da poter aiutare chi come me aveva subito un infortunio sul lavoro.

Ho fatto diversi colloqui per eventuale assunzione come categoria protetta, (disabile) ho partecipato anche ad un concorso a Roma, ma la risposta era sempre la stessa: “Le faremo sapere”, sembrava che fosse solo un obbligo di legge per molte aziende, spesso mi sentivo demoralizzato, come se  stessi chiedendo l’elemosina e non un mio diritto costituzionale (sarebbe necessario scrivere un capitolo sull’inserimento lavorativo delle persone con disabilità ma non è questo il momento opportuno).

Per mantenere la mia mente impegnata e sollevare così il morale passavo più tempo in ANMIL cercando di rendermi sempre disponibile ad nuovi progetti o incarichi, partecipai ad uno speciale di Raidue sugli infortuni sul lavoro ” Morire per un Giorno di Lavoro” di Donato Placido 25 Marzo 2007, fui contattato tramite la sede Centrale ANMIL di Roma, da una giornalista scrittrice Samanta Di Persio che mi chiese se ero disponibile a raccontare la mia storia, sarebbe poi stata pubblicata insieme ad altre in “Morti Bianche” diario dal mondo del lavoro: morti infortuni e malattie come cambia la vita di chi ne rimane coinvolto” (2008). 

Cercavo, con la mia testimonianza, di essere d’aiuto nel trasmettere il messaggio che la Cultura alla salute e  Sicurezza sui luoghi di lavoro deve avere la priorità. che può essere raggiunta solo con un lavoro di squadra nel massimo rispetto dei ruoli di Enti preposti al controllo, di Enti pubblici, dei datori di lavoro dei lavoratori stessi, delle rappresentanze sindacali, datoriali e di categoria, del testo Unico per la Salute e Sicurezza sui luoghi di Lavoro, D.Lgs 81/2008 perno fondamentale.

Nel 2010 riuscii anche se per un breve periodo a rientrare nel mondo del lavoro con una cooperativa sociale, purtroppo dopo 2 anni circa la situazione economica della cooperativa peggiorò al tal punto da portarla al fallimento, tornando nuovamente disoccupato, ma sempre motivato a rimettermi in gioco, partecipai ad un progetto di formazione ed eventuale inserimento lavorativo organizzato dalla sede INAIL di Livorno in collaborazione con la Regione Toscana e la Provincia di Livorno e associazioni di categoria.

Nel 2013 durante il rinnovo quinquennale degli organi statutari associativi ANMIL entrai a far parte del Consiglio Territoriale ANMIL Livorno, per poi essere eletto come Presidente Provinciale, in quei 5 anni ricoprì anche la carica di Consigliere regionale ANMIL Toscana, e di Consigliere Nazionale ANMIL, furono per me 5 anni molto impegnativi che mi fecero conoscere meglio la mia associazione, altri invalidi del lavoro che come si dedicavano alla vita associativa in maniera del tutto volontaria, un’esperienza che mi ha arricchito sia personalmente che umanamente.

Trascorsi i primi 5 anni decisi di ridurre i miei incarichi solo a livello territoriale e regionale così da poter dedicare più tempo alla famiglia che a causa dei numerosi impegni stavo un pò trascurando, continuando però nell’importante progetto del valore della Testimonianza, tanto da partecipare ad un corso di formazione fortemente voluto dalla direzione centrale ANMIL  ” Testimonial della Sicurezza ANMIL” al fine di formare gli associati ANMIL in modo che potessero entrare nelle scuole e nei luoghi di lavoro ( grazie a protocolli con le regioni o accordi con le aziende) per raccontare la loro esperienza di infortunati, credo molto in questa nostra opportunità, ciò che noi trasmettiamo a chi ci ascolta in nessun corso per la sicurezza  o testo lo possiamo trovare, perchè noi parliamo con il cuore mettendo a nudo le nostre paure e sofferenze ma anche i nostri punti di forza e la nostra nuova rinascita, grazie alla nostra resilienza.

Siamo così giunti nel periodo della pandemia dove anche la nostra associazione ha dovuto ridurre gli eventi e le iniziative, riducendo le occasioni d’incontro tra associati ( consigli nazionali regionali e provinciali) al minimo oppure a distanza, così come la Celebrazione della Giornata Nazionale ANMIL che avviene in tutta Italia la seconda domenica di ottobre, evento importantissimo per tutta la nostra Associazione, che però subì una riduzione nei suoi numeri a causa di queste restrizioni.

Oggi continuo a ricoprire l’incarico di Presidente territoriale e di Consigliere regionale per il terzo  mandato, purtroppo non molto è cambiato dal 2005, sempre troppi lavoratori e lavoratrici perdono la vita sul lavoro o subiscono infortuni gravi, senza dimenticare chi a causa del lavoro contrae una malattia professionale, qualche passo avanti in merito alla formazione della Cultura alla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro  lo abbiamo fatto, ma non è sufficiente, sempre troppe lacune vengono fuori, sempre troppe aziende preferiscono risparmiare in sicurezza per aumentare così il profitto, sulla pelle dei lavoratori e delle loro famiglie, spesso l’evento drammatico non fa più nemmeno notizia, o peggio appena spento i riflettori dei media tutto torna come prima anche peggio, ma credetemi per le famiglie niente sarà più come prima, alcune ferite non si rimargineranno mai, il vuoto lasciato da chi a casa non è  più tornato resterà per sempre.

Il mio prossimo obiettivo prima del termine del mio mandato è quello di un murales dedicato alla sicurezza, coinvolgendo non solo il comune di Livorno ed altri enti ma anche gli istituti scolastici superiori per la realizzazione della bozza, le associazioni datoriali e di categoria, le rappresentanze sindacali e tutte le attività lavorative private o pubbliche che hanno a cuore il tema della cultura alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Vorrei terminare questo mio racconto scusandomi per la lunghezza facendo appello a tutti affinché si possa garantire a chi la mattina esce da casa per andare a lavorare di tornare dai propri cari sano e salvo, perché la tutela dell’integrità fisica è un dovere di TUTTI e un diritto Costituzionale

Il mio pensiero va a tutte le Vittime del lavoro, e il mio abbraccio affettuoso a tutti i famigliari colpiti da un dolore incalcolabile”

Simona Poggianti

Simona Poggianti

Appassionata di calcio e della sua città, Livorno, inizia a lavorare come giornalista sportivo alla radio e poi in TV e stampa. Ora si dedica al giornalismo online con l'amico Fabrizio Pucci a Urban Livorno. Per lei, il giornalismo deve essere utile alla comunità e far emergere le criticità, anche se ci saranno sempre degli errori commessi con la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.

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