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Premio Capperuccio al chirurgo di guerra Giuseppe Soriani

Simona Poggianti di Simona Poggianti
3 Settembre, 2025
premio capperuccio

“Perchè dopo 38 missioni all’estero di cui 24 in zone di guerra continuo a fare questo lavoro? Per aiutare dove c’è più bisogno.In internet, in televisione, si vedono sempre di più immagini di guerra e non mi riesce di stare con le mani in mano e dire, potrei essere lì e invece sono a casa. Ogni volta che torno a Livorno penso di restare qualche mese per ricaricare le batterie e invece mi rimetto in discussione e a disposizione delle organizzazioni per poter dare un contributo”. 

Così il dottor Giuseppe Soriani ha riassunto la motivazione che lo spinge da 25 anni ad operare come chiurgo di guerra per Medici senza Frontiere ed altre associazioni. Lo ha detto in occasione della consegna, questa mattina a Palazzo Municipale del Premio Capperuccio, prestigioso riconoscimento istituito dal Lions Club Livorno Porto Mediceo, assegnato ogni anno a persone o istituzioni che, nell’ambito delle proprie attività e competenze, hanno reso il massimo lustro alla città di Livorno ed il massimo contributo alla sua valorizzazione.  

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Come ha illustrato il past president del Lions Club Roberto Diddi i soci del Lions Club Livorno Porto Mediceo e del Club satellite Livorno Meloria hanno deciso di assegnare il Capperuccio a Giuseppe Soriani “per l’alto valore umano e professionale dimostrato nell’esercizio della propria missione sul fronte di guerra.
Con profondo senso del dovere, spirito di sacrificio e incrollabile dedizione alla vita, ha prestato soccorso in condizioni estreme, offrendo cure e sostegno ai civili colpiti dalla brutalità del conflitto.
La sua opera, condotta con competenza, umanità e coraggio, rappresenta un esempio luminoso di ciò che significa essere al servizio del prossimo, anche a rischio della propria incolumità, esprimendo vivamente i valori fondanti della società umana: solidarietà, impegno civico, sensibilità verso chi soffre”. 

Questa la dichiarazione del sindaco Luca Salvetti: “Negli anni il Lions ha premiato molte persone , ma questa volta andiamo ad omaggiare con il Capperuccio chi va ad interpretare in giro per il mondo uno degli aspetti più belli, una delle caratteristiche più tipiche della nostra città, ovvero la capacità di essere umani, la capacità di essere pronti ad aiutare gli altri. E questo viene assolutamente sottolineato dalla scelta che è stata fatta e che riguarda il chirurgo di guerra Giuseppe Soriani. Ringrazio il Lions per questo perché si sposa alla perfezione con il lavoro che la città di Livorno ha portato avanti in questi anni. A tal proposito, quando noi ogni giorno riflettiamo su cosa ci sta accadendo intorno, abbiamo la consapevolezza che anche una città come Livorno, il suo contributo lo ha fornito, diventando porto sicuro per le navi che salvano migranti. Abbiamo accolto con efficienza e umanità le navi dei migranti e abbiamo riassunto l’ospitalità in una pubblicazione che si chiama Livorno Porto Sicuro.Qui nessuno è straniero. Quindi, unendo questo lavoro della città a ciò che vedo descritto e raccontato nella storia di venticinque anni di attività di Giuseppe Soriani, penso che sia un’unione perfetta di cui vado fiero e orgoglioso”.

Questo l’intervento completo del dottor Giuseppe Soriani

“Quando devo raccontare la mia esperienza due domande arrivano sempre: perchè ho cominciato a fare questo lavoro e perché continuo a farlo.

La risposta alla prima domanda.

Ho iniziato perché era sempre stato un sogno quello di andare in posti lontani ad aiutare persone in difficoltà. Subito dopo essermi laureato scrissi una letterina a Medici Senza Frontiere, “voglio venire a lavorare con voi”, ma loro mi dissero “Aspetta, sei ancora giovane, fatti un po’ di esperienza in ospedale, 5/6 annipoi ne riparliamo”. E così ho fatto, ho cominciato a lavorare in chirurgia in ospedale, prima a Piombino poi a Livorno e dopo 6 anni ho fatto la mia prima missione all’estero, in missione umanitaria: ho preso le ferie e sono andato a mie spese a lavorare sopra le Ande in Perù in un posto sperduto, in un ospedale costruito da dei religiosi italiani. Ero da solo, unico medico ed è stata una esperienza magnifica, ho dovuto far nascere i bambini, fare l’ostetrico, il pediatra, l’anestesista il chirurgo, è stata davvero una esperienza fantastica .

A quel punto mi sono rifatto vivo con Medici senza Frontiere, io ci sono, ho fatto la mia esperienza, non solo lavorativa ma anche come missionario, qualche valutazione a Roma e sono stato ritenuto idoneo, si tratta di 25 anni fa, ho ripreso le ferie e sono partito per la mia prima missione nel nord dello Sri Lanka dove c’è stata per tanti anni una guerra sanguinosa. Ho preso servizio come chirurgo nella zona nord dell’isola ed è stato un pugno nello stomaco. Per la prima volta mi sono trovato di fronte a dei malati diversi a quelli che avevo visto fino a quel momento da noi. Erano feriti da arma da fuoco o da taglio, erano feriti da altri umani, erano civili, soprattutto donne e bambini. E’ stata una missione impegnativa e un po’ diversa, io ero abituato a curare persone con appendiciti, ernie, calcoli alla cistifellea, mai mi ero trovata con persone ferite da kalashnicov, da armi da fuoco…

Avevo ovviamente una esperienza da chirurgo come abbiamo qui in Italia. Non conoscevo la ferita di guerra. E’ una tecnica diversa, se non usi quella tecnica con le persone ferite in guerra non c’è nulla da fare, le persone muoiono e mi sono trovato impreparato, perché non conoscevo questi tipi di tecniche da adottare.

Ovviamente durante gli anni ho fatto dei corsi, ho avuto la fortuna di avere a fianco degli esperti di cardiochirurgia, di neurochirurgia, di ortopedia, perché poi quando sei lì sei da solo e dei saper fare tutto, dalle dita dei piedi fino alla testa. Se arriva una persona con un colpo di machete alla testa devi saper fare l’intervento neurochirurgico, devi saper curare una persona che ha ricevuto una coltellata nei polmoni, devi saper curare un malato, come mi è capitato, un malato che ha ricevuto un colpo di arma da fuoco al cuore.

E quindi bisogna essere pronti a tutto perché si è poi da soli, in zone pericolose, con poco materiale a disposizione e poco tempo a disposizione, perché spesso hai tanti feriti che aspettano te, sei solo e non devi perdere tempo. Si chiama attività life save, per salvare la vita di queste persone.

Oltre ad essere soli in zone pericolose, si tratta spesso di zone vastissime.

Mi ricordo in Sudan, ero l’unico chirurgo in una zona vasta quanto la Toscana e l’Emilia. Mi portavano i feriti con l’elicottero nel nostro ospedale da campo, o a volte portavano me con l’elicottero dai feriti.

Quindi piano piano, missione dopo missione mi sono fatto una discreta esperienza come chirurgo di guerra, dalla Siria, alla Libia, al Congo, in Iraq diverse volte, quindi le appendiciti me le sono quasi dimenticate perché faccio quasi esclusivamente ferite da arma da fuoco, ferite di guerra.
 

Al mio attivo ho 38 missioni all’estero, di queste 24 in scenari di guerra, e spero di poter essere d’aiuto ancora a lungo.

La seconda domanda è: perché continui a farlo questo lavoro nonostante i disagi e i pericoli, dato che siamo in zone molto molto pericolose?

Qualche volta mi è capitato di dover scappare perché dall’altra parte stavano entrando i soldati con le armi.

La risposta è semplice: per la voglia di aiutare chi si trova in questi posti disagiati e ha bisogno di essere aiutato nel migliore dei modi possibili, per aiutare dove c’è più bisogno.

In internet, in televisione, si vedono sempre di più immagini di guerra e non mi riesce di stare con le mani in mano e dire, potrei essere lì e invece sono a casa. Mi rendo quasi sempre disponibile, ogni volta che torno a Livorno penso di restare qualche mese per ricaricare le batterie e invece mi rimetto in discussione e a disposizione delle organizzazioni per poter dare un contributo”.

La storia del Capperuccio
Il Premio Capperuccio è un riconoscimento che trae spunto dalla stola (appunto il Capperuccio), oggi esposta in una teca a Palazzo Comunale, che il Granduca Ferdinando I de’ Medici il 19 marzo 1606 pose sulle spalle di Bernadetto Borromei. Da quel momento Livorno era elevata al rango di città e Borromei diventò il primo Gonfaloniere togato  “…questo sarà il segno d’onore che porteranno in avvenire i Gonfalonieri della città di Livorno…”.
Il Capperuccio simboleggia quindi la nascita di Livorno come Città, ed è  simbolo di livornesità, del senso di appartenenza e dell’amore verso Livorno, ed è con questo spirito che il Lions Club Livorno Porto Mediceo conferisce il riconoscimento. 

Simona Poggianti

Simona Poggianti

Appassionata di calcio e della sua città, Livorno, inizia a lavorare come giornalista sportivo alla radio e poi in TV e stampa. Ora si dedica al giornalismo online con l'amico Fabrizio Pucci a Urban Livorno. Per lei, il giornalismo deve essere utile alla comunità e far emergere le criticità, anche se ci saranno sempre degli errori commessi con la consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.

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