Comunicato stampa a firma Massimo Braccini, segretario generale Fiom Livorno
“Da oltre due anni l’Europa vive in uno stato di emergenza bellica. A Livorno, come altrove, si parla
ogni giorno di armamenti, fronti di guerra e nuove forniture. Ma troppo poco si riflette su cosa stia
accadendo nelle nostre fabbriche e nella vita delle persone che ci lavorano.
Il riarmo non è solo una scelta militare, ma una trasformazione del modello industriale europeo. In
questo contesto, il caso Pierburg/ Rheinmetall a Livorno lo dimostra chiaramente: la multinazionale
ha deciso di dismettere l’intera divisione civile automotive, di cui fa parte lo stabilimento livornese,
per concentrare risorse e investimenti nel settore della difesa.
Non si tratta quindi di una riconversione, ma di un vero e proprio abbandono del comparto civile,
che lascia sul territorio incertezza e preoccupazione per il futuro dei lavoratori.
Chi subentrerà? Probabilmente fondi finanziari interessati più ai bilanci che a un progetto
industriale duraturo.
Dietro questa scelta si nasconde una logica precisa: il mercato civile non garantisce più profitti
immediati, mentre la produzione militare viene considerata più sicura e redditizia. A pagarne il
prezzo saranno soprattutto i lavoratori, le loro famiglie e la nostra città.
Rheinmetall ha il dovere di assumersi fino in fondo l’onere sociale e industriale di questa
transizione, garantendo continuità produttiva, salvaguardia del lavoro e prospettive per chi
oggi rischia di pagarne il prezzo.
La scelta di Rheinmetall non è un caso isolato: si inserisce in una tendenza più ampia.
L’Unione Europea e molti governi nazionali stanno dirottando risorse importanti verso la
produzione militare, sottraendole a settori essenziali come la transizione ecologica, la sanità e
l’istruzione.
Questa deriva verso un’economia di guerra cambia radicalmente la natura del lavoro. Le
produzioni civili, che dovrebbero sostenere la transizione ecologica e l’innovazione, vengono
progressivamente marginalizzate. A seconda del settore e del livello di riconversione, i lavoratori
vivono condizioni molto diverse: nelle aziende orientate alla produzione militare può esserci
un’occupazione più stabile, ma spesso a costo di un conflitto interiore tra etica, bisogno di lavoro e
precarietà. In altri settori si aggrava invece la crisi e l’incertezza occupazionale.
Questa complessità ci impone, come sindacato, una profonda riflessione: non basta difendere
l’occupazione a ogni costo, dobbiamo costruire un modello industriale e sociale che ponga al
centro il lavoro di qualità, la sostenibilità e la giustizia sociale.
La riconversione produttiva deve essere orientata alla pace, alla sostenibilità e alla qualità del
lavoro, con investimenti in energie rinnovabili, infrastrutture civili, mobilità sostenibile e ricerca
pubblica. Abbiamo già dimostrato anche durante la pandemia, che è possibile salvaguardare il
lavoro e la produzione in modo responsabile.
Oggi dobbiamo farlo di nuovo – per costruire vita, non distruzione.
La guerra in Ucraina finirà solo quando la politica tornerà a guidare l’economia e si affronteranno
con realismo le condizioni di sicurezza necessarie per garantire la pace. Finirà quando prevarrà la
diplomazia, non quando le fabbriche avranno finito di produrre armi.
Il nostro compito è difendere il lavoro e il suo senso profondo: lavorare per costruire, non per
distruggere. Perché la vera sicurezza si misura nei diritti, nella giustizia e nella dignità del lavoro”