Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa della sezione Lipu di Livorno a firma Cecilia Giorgetti
“In questi giorni, a seguito dei forti temporali che si sono abbattuti sulla città, sono crollati alcuni alberi, soprattutto pini nel quartiere Fabbricotti. Quando un albero cede, le piante vengono subito additate come “killer” e pericoli pubblici. Senza invece chiederci: come erano state gestite? Sono stati effettuatii controlli di stabilità? Chi per primo si reca sul posto dovrebbe operare allo stesso modo degli investigatori che intervengono sulla scena del crimine: prima di rimuovere qualsiasi cosa (in questo caso tagliare a pezzi l’albero) è necessario raccogliere gli indizi che permettano di risalire alla cause del cedimento.
In realtà gli alberi e le siepi vengono costantemente potati, riducendo le chiome ai minimi termini, pensando erroneamente che la sicurezza possa aumentare. Al contrario, “alleggerendo le chiome” si alterano le funzioni biologiche, e per quanto riguarda le continue spalcature che vengono effettuate ai pini, i fatti di questi giorni dimostrano chiaramente che non scongiurano il crollo delle piante. Ciò accade perché i pini non sono in grado di ricacciare nuovi rami (in sostituzione di quelli tagliati), tanto che per recuperare la massa verde fotosintetizzante sono costretti a svilupparsi in altezza, causando l’assottigliamento del tronco. Questo comporta che:• la perdita della chioma viene compensata sotto terra dalla morte di una parte corrispondente dell’apparato radicale, e quindi la pianta risulterà meno ancorata;• dai tagli grandi che la pianta non riesce a rimarginare entrano funghi e parassiti, che nel tempo la fanno ammalare e destabilizzare;• l’allungamento del tronco la renderà più soggetta all’azione del vento, e in caso di caduta il raggio intercettato aumenterà, così come la forza di impatto (principio della leva).
Suona bene la barzelletta dell’indiano, che quanta più legna vede tagliare al forte, tanto più pensa che l’inverno sarà freddo: anche nella gestione degli alberi si innesta la spirale perversa secondo cui si credeche quanto più si pota la pianta, tanto più aumenterà la sicurezza. Niente di più sbagliato: riducendo la chioma -oltre a perdere buona parte delle sue funzioni (ombra, paesaggio, riduzione inquinanti, biodiversità), l’albero si ammala e si destabilizza. Occorre avere presente che si tratta di un essere vivente, che se “lasciato in pace” il più possibile è in grado di adattarsi e trovare il suo equilibrio nell’ambiente, incluso resistere agli eventi meteoclimatici.
Invece di dare a prescindere, la “colpa” agli alberi, creature meravigliose quanto utili per i numerosi servizi ecosistemici che ci donano (a partire dall’ossigeno che respiriamo), andiamo a individuare le responsabilità in coloro che gestiscono il verde in maniera scorretta. Come del resto indicano le “Linee guida” prodotte dal Ministero dell’Ambiente nel 2017, diventate oggi una norma di legge attraverso il Decreto n° 63 del 10 marzo 2020 del Ministero dell’Ambiente, sui criteri ambientali minimi per il servizio di gestione del verde pubblico (CAM).
Bisogna quindi essere consapevoli che una sicurezza al 100% si potrebbe ottenere soltanto eliminando tutti gli alberi dalle città, ma questo è del tutto insostenibile perché -al contrario- abbiamo estremamente bisogno del maggior volume di vegetazione, in grado di contrastare i cambiamenti climatici (attraverso l’assorbimento di anidride carbonica) e di filtrare gli inquinanti atmosferici (al primo posto le polveri sottili, pericolosissime per i nostri polmoni e la nostra salute e anche in grado di trasportare i virus quali il Covid)”