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Home Comune di Livorno

Le videochiamate dei detenuti al tempo del Covid-19

Redazione di Redazione
6 Aprile, 2020

La dott.ssa Alessia La Villa, educatrice, ha raccolto due brevi storie che fanno capire perchè è così importante garantire ai detenuti di vedere i familiari tramite le videochiamate

Al tempo del COVID-19 nelle carceri le visite dei parenti, delle mogli, dei figli non sono più consentite. Le videochiamate possibili, auspicate e desiderate ancora prima del coronavirus, sono attuate oggi in quasi tutti gli istituti di pena, non solo a Livorno.

I detenuti dell’alta sicurezza hanno scritto al Presidente Mattarella, al Ministro Bonafede,  al Garante nazionale Palma e al Garante regionale e chiedono che tutti i benefici rappresentati  oggi, con loro grande conforto, dalle videochiamate, possano, dopo l’emergenza, diventare consuetudine e normalità. Non è cosa da poco, c’è qualcuno che non vedeva i figli da anni, qualcuno che non conosceva il viso dei nipoti e tanti, da mesi, sentivano solo la voce di chi gli è più caro. Troppa la distanza, troppi soldi da spendere per il familiari per raggiungere il carcere così lontano.

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A Livorno, in questa delicatissima fase, il ruolo di grande equilibrio e capacità del Direttore dott. Carlo Mazzerbo, ma anche in particolare di un Ispettore e un gruppo di agenti della Polizia Penitenziaria, hanno assicurato e garantiscono permanentemente il funzionamento dei collegamenti sia nelle sezioni dei detenuti comuni che di quelli della alta sicurezza.

Assicurare diritti e garantire sicurezza sono le azioni che in un istituto di pena vanno sempre d’accordo e in questa fase più che mai impariamo che solo la sensibilità, l’umanità, la professionalità di tutti  può salvarci.I detenuti mi hanno chiesto di  trasmettere e rappresentare alle Autorità la loro richiesta, finalizzata a garantire permanentemente che la semplicità del vederci  con i familiari con il pc e con il telefono,  possa, in carcere diventare la normalità.

La stanza del figlio

«Dottorè voi non ve lo potete neanche immaginare quello che ho provato, se ci penso ancora adesso mentre parlo con lei mi sale l’emozione ». Comincia così il colloquio con Enrico, uno dei detenuti del Reparto Alta Sicurezza della Casa Circondariale di Livorno, che la scorsa settimana hanno potuto effettuare la prima videochiamata con Skype. Impensabile fino a qualche tempo fa. Impensabile fino all’arrivo del Corona Virus.

«Ha capito dottoressa, io mia moglie e mio figlio non li vedevo da due anni. Mio figlio Ciro l’ho lasciato che aveva otto mesi, era una creatura. Oggi ha sedici anni ma io non lo vedevo da quando ne aveva quattordici».

Enrico è un ergastolano. Un fine pena mai. Uno di quelli che a casa probabilmente non ci tornerà più o almeno non prossimamente “perché anche se mi daranno un permesso un giorno, non mi manderanno a casa mia, dove ho fatto i reati. Funziona così”.

«Io casa mia, dottoressa non la vedevo da quindici anni. Capisce? Quindici anni. Quando mia moglie è apparsa sullo schermo mi veniva da piangere. Non ho pianto solo perchè tenevo vergogna.
Lo sa cosa stava facendo, quando ho chiamato? Stava cucinando, stava preparando le polpette al ragù quello che facciamo noi a Napoli. Che cosa strana dottorè, parlavamo e lei mentre teneva la pentola sul fuoco.

Poi ha chiamato mio figlio Ciro. E’ alto 1.80, non me lo ricordavo così alto, sono passati due anni. “Papà”, mi ha detto, “non mi piacciono i capelli come te li sei fatti, te li devi far crescere”. Poi mi ha portato nella sua stanza.
Capisce dottorè la stanza di mio figlio. Con la Play, il letto pieno di libri (che quello studia fa l’alberghiero, tiene nà bella capa). Io non avrei mai creduto che un giorno avrei visto la stanza di mio figlio. Diciamo che per colpa mia io non sono mai stato padre veramente, non l’ho visto crescere, non sono mai andato a prenderlo a scuola.

Ma adesso con questa cosa della video chiamata mi è sembrato quasi che potevo fare qualcosa di diverso. Un conto è sentire la voce al telefono, un conto è entrare dentro casa tua. La casa è il nido e io finalmente l’ho potuta rivedere. E allora che le devo dire? A me mi dispiace assai per sto Corona Virus ma senza sta tragedia a noi le video chiamate non ce le davano. E io spero che quando finisce tutto almeno questa cosa ce la lasciano. Così io continuo a vedere mia moglie, mio figlio, casa nostra. La prossima volta mi ha detto che mi fa vedere la foto della sua fidanzatina. Ora non mi prenda per matto, lo sa poi cosa faccio io quando ritorno in cella dopo che li ho visti? Mi sdraio sul letto, chiudo gli occhi e mi giro tutta la casa, me la giro con la testa dottorè e aspetto la prossima video chiamata…»

Il Gatto

Karim ha 26 anni e da quando aveva 17 anni non vede sua madre. Da quando ha deciso di lasciare il Marocco: “dove vai figlio mio, rimani qui!” mi diceva mia madre ma io non le ho dato retta. Volevo fare una vita diversa come mio cugino che era partito anni prima e in Italia, da voi stava bene. Così mi diceva. Io sono figlio unico. Appena sono arrivato ho vissuto a Bergamo da mio cugino. Ha visto che cosa sta succedendo lì? Poi sono arrivato a Livorno.

Mia madre piange sempre al telefono quando la chiamo.  Lo sa che sono in carcere ma non sa ancora che ci devo rimanere fino al 2025. Non ho avuto il coraggio di dirglielo.

Quando mi hanno detto che potevo fare una video chiamata con Skype non ci credevo. Io mia madre me la sogno spesso. Sogno che siamo in Marocco e che io sono rimasto li a coltivare la terra vicino a casa nostra come voleva lei. Se le avessi dato retta adesso non sarei qui.

All’inizio l’ha chiamata la mediatrice da qui per spiegarle bene nella nostra lingua come doveva fare con Skype e poi ci siamo visti. Quel giorno mi sono vestito bene, ho chiesto al mio compagno di sistemarmi i capelli.  Volevo essere bello, non come tutti i giorni. Mia madre toccava sempre lo schermo come se potesse toccare me. Io prima ho riso, poi mi sono messo a piangere. Mi ha detto che sono cresciuto e che non vede l’ora di rivedermi. Io alla mia mamma ho detto che è bella e che quando torno a casa le porto un bel regalo. Che in carcere non ci sto male, che manca poco e poi adesso che ci possiamo vedere sarà diverso. Ad un certo punto ho sentito miagolare. Mia madre si è abbassata ed ha tirato su il nostro gatto. Lei dice che ha riconosciuto la mia voce e che mi cerca. Non lo so se è vero, ma anche se mi ha detto una bugia io sono felice…

Foto di cottonbro da Pexels

Redazione

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