Nasce a Livorno un coordinamento cittadino intitolato “Basta Missioni Militari”, che vuole organizzare appuntamenti durante i quali discutere dei comportamenti del governo italiano dal punto di vista militare. Il tema ovviamente è molto caldo, dopo quanto è successo nelle ultime settimane in Afghanistan e forse proprio per questo è il momento giusto per riflettervi sopra. Di seguito riporteremo il testo con cui il coordinamento “Basta Missioni Militari” si è presentato.
Il presidio dell’11 settembre in Piazza Grande è organizzato dal Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari all’estero. Di seguito il testo di presentazione del Coordinamento.
Basta Missioni Militari!
Si è costituito a Livorno il Coordinamento cittadino per il ritiro immediato delle missioni militari italiane all’estero. Questo coordinamento ha lo scopo di lanciare una campagna per fermare il
crescente intervento militare dello Stato italiano all’estero. Al momento le missioni militari sono 40, di cui ben 18 in Africa.
Per giustificare l’invio delle truppe in zone di guerra il governo italiano ha cercato, soprattutto nei decenni passati, di dipingere d’arcobaleno i suoi carri armati utilizzando la retorica della “missione
umanitaria” o addirittura “di pace”. Negli ultimi anni la retorica è cambiata, e sempre più spesso il governo parla di difesa “dell’interesse nazionale” o“delle risorse strategiche”. Un cambiamento della propaganda ufficiale che risponde alle esigenze di una nuova strategia militare, più aggressiva e predatoria.
Le motivazioni dietro le giustificazioni
Al di là delle giustificazioni ufficiali, le ragioni che muovono le missioni di guerra sono sempre le stesse: controllo delle risorse, ossia dei siti estrattivi e delle principali infrastrutture che ne permettono il passaggio; spartizione delle aree di influenza politica ed economica e repressione delle istanze sociali e di classe; controllo delle zone considerate centrali per i movimenti migratori; pubblicità per armamenti, mezzi ed equipaggiamenti militari italiani per i governi delle regioni in cui sono impiegati.
Questo è evidente se guardiamo a cosa corrisponde ciò che il governo italiano chiama “Mediterraneo allargato”, questo spazio geografico che è considerato di “interesse nazionale” è delimitato a nord dalla Libia, dal Golfo di Guinea a ovest e dal Corno d’Africa a est. Ma questo
interesse che viene definito nazionale non è che l’interesse delle classi dominanti, del governo, delle grandi multinazionali.
Basti pensare al ruolo dell’ENI che ha impianti importanti sia in Libia sia nel Delta del Niger, e dopotutto la missione della Marina Militare italiana nel Golfo di Guinea ha ufficialmente l’obiettivo di difendere le strutture dell’ENI, oltre alla cosiddetta lotta alla “pirateria”. La forte presenza militare italiana garantita dalle missioni determina povertà per le popolazioni locali e grossi affari per l’industria bellica.
I costi delle missioni
Anche per sostenere queste guerre la spesa militare dello Stato italiano è in costante aumento. Nel 2020, mentre di fronte alla pandemia collassava il servizio sanitario, già devastato da decenni di tagli, privatizzazioni e peggioramento delle condizioni di lavoro, lo Stato italiano aveva deciso di aumentare a 24,97 miliardi la spesa militare per il 2021. L’aumento delle spese militari è soprattutto andato a scapito della spesa sociale, in particolare sanità e scuola. Inoltre parte consistente dei finanziamenti
previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la transizione ecologica e digitale, se le accaparrerà la Difesa con la scusa dell’innovazione delle Forze Armate.
Si tratta di risorse sottratte alla collettività, ai salari, agli ammortizzatori sociali, alle pensioni, alla sanità, ai consultori e ai centri antiviolenza, alla scuola, all’assistenza, alle bonifiche, alla messa in sicurezza dei territori, della rete di trasporti, dei luoghi di lavoro. La spesa militare è finanziata a debito dai governi, i cui oneri sono sostenuti da una tassazione che grava sempre di più sui ceti popolari e sulla classe lavoratrice. L’aumento del debito al contempo finisce per determinare un’inflazione che erode il potere d’acquisto dei salari e delle pensioni. L’impegno militare dello Stato italiano peggiora la situazione di tutti, delle popolazioni che subiscono l’ingombrante presenza delle truppe italiane come delle classi sfruttate in Italia. La nostra campagna antimilitarista è una campagna internazionalista e solidale.
Militarizzazione in Italia
La militarizzazione è ormai una costante anche all’interno dei confini nazionali. I militari sono schierati alle frontiere dell’Italia e dell’Unione Europea, per sbarrare la strada a chi emigra dal proprio paese, in molti casi proprio a causa delle politiche neocoloniali dello stato italiano o dei suoi alleati. Con la missione «Strade Sicure» i militari dal 2008 pattugliano con armi da guerra le strade, le piazze e le stazioni delle nostre città, e in alcuni casi sono impiegati anche in funzione di ordine pubblico, con equipaggiamento antisommossa, nella repressione di manifestazioni e proteste, come ad esempio contro il movimento NO TAV.
I danni delle missioni militari sull’ambiente
Opporsi alle missioni militari all’estero significa anche opporsi alla devastazione ambientale. Basti pensare che anche sul piano ufficiale parte delle missioni militari italiane hanno il principale scopo di tutelare le attività dell’ENI che avvelenano intere regioni del pianeta, come sul Delta del Niger.
Per quanto abbia modificato gli strumenti di propaganda, il governo continua in molti casi a giustificare le missioni militari come interventi a difesa della pace, della democrazia, dei diritti delle donne. Ma sappiamo bene che le donne, le soggettività non binarie, le comunità LGBTQ si trovano invece a dover fronteggiare la violenza perpetrata dagli eserciti. Sono proprio le donne che in ogni guerra sono trasformate in territorio di conquista, perché la violenza di genere, il dominio patriarcale è parte integrante del militarismo. Lo stupro è un’arma di guerra spesso usata anche da quelli che dovrebbero essere contingenti di pace, come nel caso della missione militare italiana in Somalia nel 1992, in cui la brigata paracadutisti folgore compì violenze atroci.
La vicenda dell’Afghanistan è emblematica e mostra tragicamente, dopo vent’anni di occupazione NATO nel paese, tutti gli aspetti inutili e dannosi delle missioni e l’assenza assoluta di qualsiasi finalità “umanitaria”: oltre 240 mila morti, di questi 70.000 civili. Mentre all’Italia questa guerra è costata 8,7 miliardi e 53 morti.
Per questo abbiamo deciso di impegnarci su un tema che è tra i meno conosciuti e i più importanti dell’agenda di governo, convinti che solo l’opposizione dal basso possa contrapporsi efficacemente a questa politica.
Le associazioni e le individualità che hanno dato vita al coordinamento comunicheranno i prossimi appuntamenti. L’adesione al coordinamento è sempre possibile, purché se ne condividano obiettivi e metodi.
Come contattare il coordinamento “Basta Missioni Militari”
Per contattare il coordinamento scrivere a : no_missioni_livorno@anche.no